Scandisce bene le sillabe don Renzo Caseri, fermandosi quasi a guardare negli occhi i presenti, come a dire “E questo lo sappiamo tutti bene, perché lo abbiamo sperimentato”: «Si poteva parlare con lui di tutto, per la sua cultura “enciclopedica”, oltre che per la sua preparazione teologica e psicologica. Ma soprattutto per la sua sensibilità nel cogliere ciò che c’era nell’animo». È il 2 agosto 2024: cinque anni dalla morte di don Edoardo Algeri, stroncato da un infarto fulminante mentre in bici saliva su per le montagne della sua Torre dei Roveri, in compagnia di un amico, medico, che non ha potuto fare altro che constatare l’irrimediabilità di ciò che stava accadendo.
Aveva 56 anni. Presbitero, psicologo, era Presidente della Federazione lombarda dei Consultori Familiari di Ispirazione Cristiana (FeLCeAF), ma anche Presidente della Confederazione nazionale (CFC), Direttore dell’Ufficio di Pastorale della Famiglia di Bergamo, con incarichi in Vaticano da anni che lo costringevano ad una vita di altalena fra Roma, Milano e Bergamo. “Finalmente stasera ho avuto il tempo di guardare il cielo” – aveva scritto ad un amico proprio la sera prima di quel 2 agosto, un primo giorno di riposo dopo tanta fatica che era stato anche il suo ultimo giorno qui su questa terra.
Ci siamo in tanti sia alla messa celebrata al mattino con un’omelia in ricordo tenuta dall’attuale Direttore della Pastorale Familiare di Bergamo don Giorgio Antonioli, che il pomeriggio alla celebrazione organizzata da altri amici con alla testa don Renzo Caseri appunto. Presidente e Vicepresidente della CFC, Presidente attuale della FeLCeAF, familiari, amici, confratelli, diaconi: siamo tutti presenti perché il nostro cuore lo vuole, dal profondo. E nel ritrovarci ci sentiamo vicini e cari l’uno all’altro proprio per quel calore che lui, “maestro dei legami” – come è stato definito – sapeva creare e continua a creare anche oggi, anche a distanza.
«Ha saputo rendere visibile la tenerezza di Dio per la famiglia d’oggi. Ha costituito una rete di consultori e di collaborazioni, anche con enti pubblici, in grado non solo di aiutare le coppie o le famiglie in difficoltà, ma di creare uno stile di servizio a partire dall’accoglienza delle persone e dalla comprensione di tutti i suoi bisogni relazionali e spirituali. Ha avuto a cuore la Chiesa “famiglia di famiglie”, espressione che spesso citava di Papa Francesco. Ha cercato di rendere “sponsale” la pastorale. Era convinto che ciò che fa crescere la comunità cristiana è il dialogo sincero e la condivisione di vita, così come accade nella relazione matrimoniale. La famiglia non era per lui un “ideale”, ma l’amore di cui ciascuno è capace. Con noi confratelli sacerdoti e diaconi ha avuto sempre un rapporto fraterno seppure svolgendo anche il compito di guida spirituale. Ha vissuto un’amicizia sincera e intensa con tante persone» – continua l’amico di sempre don Caseri.
A questi si deve anche la recente pubblicazione di un libro (Il suo ultimo saluto, Montiedizioni 2024) che raccoglie scritti, foto, riflessioni di don Edoardo, mentre all’indomani della sua morte fu pubblicato a cura dell’attuale Presidente della CFC prof.ssa Livia Cadei e del prof. Domenico Simeone (già Presidente prima di don Edoardo) un volume dal significativo titolo Servire la famiglia, edificare la Chiesa (Ancora 2020): centinaia di pagine con tantissimi interventi pubblici verbali e scritti di don Edoardo, una pietra miliare per conoscere legislazione, logica, spirito, prospettive dei consultori familiari di IC in Italia. Per avere anche delle linee direttrici che la sua lungimirante visione della Chiesa e della società aveva saputo individuare, ma soprattutto per assumere su di sé tutto lo spessore professionale, interiore e spirituale che l’essere operatori di consultori familiari deve raggiungere, fino a sentire che «la risposta alla chiamata di Dio è il modo più profondo di spendere la propria vita» (Servire la Famiglia, edificare la Chiesa, p. 275).
E apprendiamo dalle parole dell’omelia che «prima dell’ordinazione sacerdotale, nel mensile del Seminario Alere, parlando del suo futuro apostolato aveva scritto: “A Cristo buon Pastore chiedo il dono sempre nuovo di una fede profonda in ciò che dirò e una carità senza finzioni in ciò che farò. Vorrei essere presente agli uomini del mio tempo con la misericordia di Gesù Sommo Sacerdote capace di comprendere dall’interno la sofferenza e le debolezze umane, arricchendole del dono che tutto ricrea”». La commozione è palpabile: chi di noi non ha avuto modo di sperimentare la realizzazione di quanto lui aveva chiesto al Signore?
Dopo la messa la visita al cimitero, poi ancora qualche parola con le sorelle e i fratelli di don Edoardo, gli abbracci e un saluto, unico: “All’anno prossimo”. Torneremo – e lo sappiamo – perché è anche questo un modo per dire a noi stessi quanto gli siamo grati per quanto ci ha dato e ci dà in insegnamenti ed esempio. Per dirgli che gli vogliamo bene e che siamo fieri di poter continuare il nostro cammino sulle sue orme.
Grazie!